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 Progetto Culturale - Punto di vista - Una cultura dell'incontro 

n° 109 - 24 settembre 2013

Una cultura dell'incontro

 

Per capire la questione

In mezzo ad un fermento di istanze positive, gioie e preoccupazioni – che ben conosciamo vivendo in mezzo alla gente – sentiamo il dovere di ricordare una radice avvelenata che non sempre è presa nella debita considerazione: il virus dell’individualismo. Il suolo umano, infatti, si sta impoverendo e si svuota di relazioni, legami, responsabilità, divenendo così friabile e inconsistente. Al punto che l’uomo stesso, su questo terreno, finisce per diventare “di sabbia”, una figura fluida con una pesante sensazione di stanchezza. È schiacciato dall’urgenza di farsi da sé in una competizione continua e lo Stato, sul piano giuridico, si trasforma in una sorta di nobile notaio dei desideri, delle istanze e forse delle pretese dei singoli. Il grande sogno dell’individualismo, che ha segnato l’uomo moderno, lo ha condotto nella post-modernità ad una imbarazzante scoperta: il sogno non ha tenuto! Ed egli si trova tristemente solo in un terreno fatto da una moltitudine di punti-io.
Tutto ciò – come ben sappiamo – contraddice l’esperienza universale, per cui la prima esperienza della persona è l’esperienza del “tu” e quindi del “noi”. Questa viene prima dell’io o per lo meno l’accompagna. Quando i rapporti si allentano, e l’io si insedia fino ad avere il primato esclusivo, gli altri non sono più percepiti come prossimo ma come estranei, alieni e potenziali avversari: è il nucleo di ogni follia. Si può dire a ragione che la persona esiste soltanto nella misura in cui esiste per gli altri e, al limite, che essere significa amare. Sembra che il bisogno di sentirsi “vivi”, “al mondo”, non avvenga più attraverso la normalità delle buone relazioni quotidiane – in famiglia, nell’amicizia, nel lavoro…– ma nel brivido comunque acquisito, fino al disprezzo della vita propria e altrui. La prospettiva autoreferenziale, insofferente ai legami, porta con sé un carico di violenza che anche i drammatici fatti di cronaca, sempre più numerosi, testimoniano a partire dalla violenza sulle donne.
Ci sembra che l’opinione pubblica abbia cominciato una specie di rimonta su questo versante culturale, riscontrando gli esiti catastrofici sul piano sociale, economico e politico. Ma bisogna invertire più in fretta la marcia del pensare per poter vedere gli effetti desiderati nella civile e serena convivenza. Perché ciò avvenga, sono necessari gli sforzi concentrati e costanti degli operatori culturali ed educativi ad ogni livello. Se le grandi manifestazioni dell’umano sono pensate in chiave autoreferenziale – per quanto mi danno di piacere e di convenienza immediata – è l’uomo a perdersi e il suo vivere insieme. La vita, l’amore, la libertà, la famiglia… sono alcuni di questi luoghi che esprimono, custodiscono e alimentano l’umano: il verme dell’individualismo li corrompe con la promessa di una felicità maggiore, ma ne vediamo da molto ormai gli esiti disumani. È veramente più felice l’uomo di oggi rispetto a ieri dove i rapporti si costruivano nella sequenza dei giorni, nel sacrificio e nella pazienza dell’amore? Nell’umiltà delle cose, senza la smania dell’apparenza e di un benessere illimitato? Dove la cultura dell’incontro e dei legami era il tessuto della vita e rendeva solida e affidabile la società intera? Senza il microcosmo della famiglia è impossibile vivere il macrocosmo della società e del mondo. Senza, infatti, l’uomo si trova sperduto, privo di punti di riferimento alla mano.
Card. Angelo Bagnasco

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